Maurizio Baglioni

Maurizio Baglioni fondatore e presidente del Team Biketrainer, nel quale oltre al ruolo di tecnico e pilota, ricopre anche le vesti di istruttore nei corsi guida Strada/Pista e in quelli di meccanica professionale e di manutenzione.

La mia storia motociclistica parte da lontano, cioè da quando mio padre classe 1914, cavalcava le moto. Una passione immutata anche dopo la guerra, allorché tornato dalla campagna di Russia mutilato delle gambe, di qualche dita della mano destra e con numerose schegge inestratte si comprò, oltre alla vespa non riconosciuta adeguata, il Galletto 250 della Moto Guzzi, unica moto che gli consentiva il cambio marcia manuale. Epiche le cadute sulla salita della Sarnano Sassotetto, dove regolarmente perdeva le protesi, con i malcapitati spettatori che pensavano fossero vere, increduli alla loro ricerca. Ricordo quando mi metteva sulle sue ginocchia, fatte dagli apparecchi ortopedici, oggetti già all'ora tecnologici, che venivano realizzati su misura per lui ogni due anni, da veri artigiani al Rizzoli di Bologna, Tappa che da quando mi feci un po più grandicello, non volli più perdermi. Ricordo perfettamente, le lunghe messe a punto di tutte le parti che riguardavano il confort, la stabilità e la manovrabilità e come lui si dedicava a le prove estenuanti, su e giù per i saloni del reparto. Prove e modifiche cavillose ma necessarie alla buona riuscita dell'elemento finito, tanto che il risultato era sotto gli occhi di tutti, guardandolo camminare spedito, fin dentro l'età di ottant'anni. Un uomo particolare, lo voglio ribadire. Con la passione politica nel sangue, Repubblicano Mazziniano, antifascista uscito dall'ospedale militare passa gli ultimi momenti del conflitto bellico nelle file del comitato di liberazione Nazionale di Ascoli Piceno, nelle Marche (era nato a Sarnano prov. Di Macerata, anche se la famiglia si era trasferita vicino Roma) non partecipa alla resistenza armata, ma viene preso e incarcerato a forte Malatesta, per fortuna proprio alla fine del conflitto viene liberato.

Su quelle ginocchia, ho iniziato ha osservare i campioni alla televisione, su quelle ginocchia ho guidato la prima autovettura, ancora bambino. Che mondo anche quello, le moto con la nascita dei figli le aveva abbandonate passando alle più utili appunto utilitarie. Ma queste dovevano essere adattate con congegni sempre più tecnologici al passare del tempo e del tipo e classe di automobile. Quindi, ciò voleva dire recarsi dai meccanici autorizzati per far installare le modifiche costruite dalle aziende specializzate per poi collaudarle alla motorizzazione. Poche in effetti le varianti a lui necessarie, riusciva ha spingere il pedale dell'acceleratore e quello della frizione, non prontamente però quello del freno (non sarebbe mai stato affetto da panic stop). Così siamo passati da una grande leva sulla sx del sedile del guidatore, modello maxi freno a mano ma agente sull'impianto primario, Fiat 500 e 600, a quella accanto al manubrio, molto più sinergica, Simca 1000, Opel Ascona e Ford Fiesta, con la quale mi aiutavo anche io nelle sbandate controllate. Pensate che doveva rinnovare la patente più spesso e che aveva anche ricevuto l'abilitazione per trainare una roulotte, la stessa che per anni mi fece da supporto nelle mie trasferte di gare e prove sui circuiti. Tutta questa bio meccanica e artigianalità applicata all'uomo, pose i primari mattoncini che svilupparono in me l'idea che nulla può essere fatto senza che l'essere umano e ciò che lo circonda non siano in stretta armonia.

Il battesimo dell'aria arriva intorno ai 12 anni, quando viene regalato a mia sorella di quasi cinque anni più grande, il motorino Garelli 50 a frizione automatica. ovviamente era suo, ma da li a poco complice una sua non particolare tendenza al due ruote, il Garellino divenne la mia iniziale nave scuola. Erano anni in cui un mondo di novità ed esperienze si aprivano ai miei sensi. Tra queste, la possibilità di soggiornare un mese all'anno, d'estate, in un albergo sulle coste Italiane, assieme ai Grandi Invalidi Di Guerra, fu per me un emozione unica. Dovete capire che ovviamente essendo abituato all'invalidità resa così normale non pativo lo scotto della cosiddetta diversità, ma li fortificai una grande lezione, che fino a quel momento poteva passare come scontata. La vita, vada come vada, che sia colpa nostra o siano indirettamente gli eventi a cambiartela, è preziosa e vale la pena di lottare fino in fondo per percorrerla tutta.

Certo, io non sono un filosofo e tutto ciò potrebbe sembrare retorico. Vi garantisco che gli anni trascorsi insieme a quei mutilati, al confronto dei quali a volte mio padre sembrava una persona normale (tali le entità delle mutilazioni e la loro sommatoria concentrata a volte in un solo individuo) mi condizionarono a tal punto da trovarmi in contrasto spesso con i coetani e non, così detti come me normo dotati, a quali una “puntura di spillo” poteva a seconda, lesionare l'umore e la stessa, esagero, esistenza. Persone ricche di una forza interiore e a volte armate di capacità quasi superiori, come alcuni cechi, da far scomparire al confronto. Usavano (oramai i grandi invalidi di guerra non ci sono più) l'interiorità estrema … Essi mi lasciarono un messaggio che feci subito mio, quello del vivere con passione. Chi ha conosciuto chi di passione vive molto del suo tempo, sa che può condividerci le più belle avventure. Certo, a volte travolgenti e a volte anche deludenti, perché le forti passioni generano entusiasmo e aspettative e ci vuole un grande cuore e una grande pazienza per conservarle, di certo non sono mai grige avventure.

Comunque, tutto ciò mi indusse sempre più a confrontarmi con il “Sapere ed il Fare”. Erano anni in cui suonavo come batterista in un complesso e iniziavo il mio percorso scolastico all'Istituto Tecnico Industriale Leonardo Da Vinci, sezione meccanici, in oltre avevo iniziato a mettere le mani direttamente sui motorini e mio padre per il passaggio alle superiori mi aveva acquistato un crossino della Giulietta Peripoli motorizzato da un Franco Morini a 4 marce. E si ben 4 marce, che avevo potuto gustare per la prima volta guidando quello di un amico, non scendendone più, tale fu l'ebrezza che provai. Lo scarico adrenalinico mi provocò il tremore e in seguito agli effetti della dopamina e serotonina che mi attraversarono in quantità fui in breve pazzo di amore per questo meccanismo che ti faceva attraversare il tempo nel vento e sulla terra in un modo unico ed ineguagliabile. Il poi famoso "veicolo terrestre a due ruote" aveva mietuto un altra vittima predestinata. La gioia di poter modificare a ruota libera il mio due ruote e all'unisono studiarne l'essenza tecnica, mi fece capire dove e come destinare le mie risorse umane e quelle materiali datemi dai miei genitori. Vendetti la batteria e mi posi l'obbiettivo di diventare un corridore motociclistico. Purtroppo erano tempi in cui scarseggiavano grandi maestri in queste zone, poco avvezze all'agonismo motoristico e anche mio padre aveva mancato storicamente l'avvento degli autodromi, solo stradali all'epoca. Quindi protrassi la mia attività di elaboratore e futuro corridore, sulle strade cittadine e extraurbane. Certo, i limiti erano assai diversi e minori, certo il traffico era la metà di quello attuale, ma la strada presentava ugualmente il conto con le sue scarse ed esigue possibilità di scampo, per chi avesse ingenuamente approfittato del falso miraggio degli spazi più o meno liberi e asfaltati. L'evento negativo è figlio della velocità al quadrato e di molti altri fattori fisici, ma essa ne è la regina e ad essa l'uomo non è geneticamente predisposto. Sensi e reattività sono ben lungi da governare dinamiche oltre. Si adattano, si abituano, i più dotati danno dimostrazione sulle piste di poterle governare, ma! ... quanto lavoro psicofisico e tecnico meccanico dietro a tutto ciò, esibito in un anello, le piste moderne, dove tutto è ripetibile e misurabile decine e centinaia di volte.

Quindi una difficoltà psico attitudinale che messa insieme alle “energie” trasmesse dal veicolo, rende la sfida per ingegneri, piloti e amatori estremamente affascinante. La motocicletta è una macchina che è stata studiata e decodificata attentamente a livello ingegneristico, con grade ritardo rispetto alla sua comparsa.

Fu così che iniziò la mia collezione di cadute. Per fortuna una cosa l'avevo capita fin dall'inizio, casco, guanti e giubbotto non mancavano mai, insieme almeno a jeans e scarpe chiuse, il minimo direi, anche se negli anni settanta, tutto ciò era generalmente superfluo.

Ma cadere per la strada può procurare più o meno escoriazioni, se si scivola semplicemente ma rotture o particolari traumi oltre alla morte, se si collima con ostacoli. E proprio uno di questi e con precisione un palo della cartellonistica stradale, centrato uscendo di strada in una delle mie corse che già all'ora eseguivo apparentemente in massima sicurezza, cioè, fuori dai centri urbani in stradoni e aspettando il momento di maggior libertà, mi procurò traumi tali da farmi scattare la molla definitiva.

Mai più in moto sulla strada …. da ora in poi solo corse ….

Si, mio padre mi appoggiava in tutto, ma per mia madre questo non volle dire gioia assoluta, non lo capiva all'inizio, specie quando ancora convalescente a letto dalle lesioni del brutto volo, le comunicai la bella novella, ma lo comprese in seguito. Ma a parte questo, tra il dire e il fare c'era come sempre "il mare", che in parole povere erano le risorse materiali, cioè il denaro necessario a tutto ciò. Mio padre era un impiegato statale mentre mia mamma faceva la casalinga e la sarta (da giovane lavorava in una sartoria) per la famiglia e poco più. Ma da li ad avere le risorse per far correre un figlio in moto, appunto, ci correva.

E qui inizia un capitolo, che attraversa tutt'ora la mia vita di corridore, la ricerca di sponsor. Siano essi amici, semplici sostenitori, piccole entità commerciali o aziende rinomate, la ricerca è sempre stata difficoltosa farla in prima persona. Sono sempre i procuratori ha farlo, figure al limite dei procacciatori di afffari o agenti finanziari. La cosa non mi rappresentava per niente e la giovane età mi rendeva completamente inadatto, Al momento era ovvio, che le risorse umane dovevano pervenire dagli amici più vicini alla mia passione, quelli con cui condividevo le ore passate in cantina del palazzo in cui vivevo a "truccare" i motorini. Da mio padre, che comunque doveva sponsorizzare al suo meglio finanziariamente e dal sottoscritto, che oltre a studiare, elaborando motorini accumolava piccole ma decisive somme dedicate al mantenimento del veicolo. Si, ma quale veicolo? Da qualche tempo, non avevo più il mio primo e oramai esausto crossino, trasformato quasi da subito in un velocissimo corsa. Con arretramento pedane, serbatoio allungato, manubrio a tronchetti, marmitta espansione bassa e cilindrata che via via era lievitata a 90cc, con un carburatore da 22mm.

Veicolo che mi permetteva per scelta solo 90/100 km/h ma con una ripresa che nei centro metri stracciava il Benelli e l'Italjet 125 bicilindrici e le migliori moto da cross competizione come Aspes, SWM 125 ecc. … Accettavo le sfide che pervenivano da Pisa e d'intorni, non perdendone mai una. Certo che una tale manomissione ne aveva compromesso la struttura oltre che la meccanica, oramai al terzo blocco motore e affini. Quindi al momento ero in sella ad un bellissimo Malanca Testa Rossa cinque marce, il mio primo sogno e la mia prima delusione. Bello! assimilabile nelle forme ad un motorino 50 cc da corsa, ma solo nelle sembianze. Nel momento che andai a potenziarlo, i limiti di progetto vennero fuori e la fragilità non mi permetteva prestazioni esaltanti, oltretutto era privo di sospensioni, freni e pneumatici adatti all'uso racing.

Ok, non mi perdetti d'animo e insieme al mio amico e fido scudiero Massimo Biegi, grande elaboratore di vespe e campione di ciclismo fin quasi le categorie profesionistiche, ci mettemmo alla ricerca di un motorino usato da competizione, si di quelli fatti dalla fabbrica solo per correre. Dopo alcuni giorni, vagliando le varie possibilità legate soprattutto al prezzo, ci soffermammo su un Minarelli 50 cc adatto alle corse in salita, regolamento juniores. Era di un appassionato che abitava a Calavorno, (LU) in Garfagnana. Giustamente negli anni 70 e 80 chi si cimentava alle prime armi, confluiva nella categoria base, detta appunto juniores, per poi passare nella categoria seniores, quella che ti poteva dare l'accesso ai campionati internazionali, solo dopo però, essere arrivato nei primi tre posti della tua classe juniores. Poi tutto ha lasciato lo spazio al business e ora basta avere i “soldini” e alla prima gara potresti correre nel Campionato Italiano. E' vero che nel frattempo sono nati molti trofei interlocutori e pseudo formativi, ma la legge del denaro ha comunque progressivamente e con gli anni 90 del tutto raso al suolo le velleità di chi non ha un budget minimo formato da alcune decine di migliaia di euro.

Convinto mio padre, trattato il prezzo in 300 milalire, partimmo alla volta di Calavorno io e il mio amico, a bordo dell'ApeCar del padre che lui poteva guidare avendo già compiuto la maggiore età.

Arrivati sul posto nel pomeriggio, fummo da subito inebriati alla vista del veicolo. Già decaduto dagli altari della competitività, ad appannaggio degli all'ora Guazzoni o ancor meglio Kreidler, ma il minarelli 50 corsa, era comunque in dotazione di tutti quei requisiti che lo identificavano come veicolo da competizione. Sospensioni Ceriani regolabili, freni a tamburo Fontana, ruote a raggi, con cerchione in lega e gli pneumatici a “pera”, 2” ant. E 2” e ¼ post. Fatemelo dire ai miei occhi “Libidine pura”.

Pagammo pur non senza difficolà il proprietario; e si, mio padre mi aveva stilato un vaglia postale del valore ma il pomeriggio gli uffici PT erano chiusi nel paese. Per fortuna, la conoscenza del proprietario con il comandante dei carabinieri della locale stazione, risolse il tutto con una telefonata di accertamento presso l'intendenza di finanza, dove mio padre a Pisa lavorava.

Ecco … Inizia qui la mia vita di corridore, in tutto e per tutto.

Di li a pochi mesi presa la licenza yuniores mi presentai alla classica corsa di campionato Italiano in salita, Saline-Volterra. Fu l'ultima edizione. Era il 1977,

Tanta strada ancora da percorrere, dove gli eventi si susseguiranno a volte turbinosamente. In cui la passione reciterà un ruolo da protagonista, governandone gli effetti speciali… ! Giorni pieni di progetti, molte volte solo rincorsi, altri raggiunti solo a metà, la sfida continua e le gare nel suo susseguirsi nel tipo e nel modo, daranno nel tempo la risposta ai perchè che ho sempre cercato …


To be continued …